Anche quest’anno è iniziato per me con l‘appuntamento motorsport più atteso: il rally Dakar. La 42° edizione della competizione ideata da Thierry Sabine ha visto correre i piloti provenienti da tutto il mondo in un territorio per tanti aspetti inesplorato: l’Arabia Saudita.
Rispetto alla scorsa edizione (ancora in Sud America), questa del 2020 si preannunciava già dagli inizi durissima. Il percorso ha previsto infatti 7856 km, di cui 5097 di prove speciali, suddivise in 12 tappe. Alla gara hanno partecipato 572 piloti, con 347 mezzi, tra moto, quad, SSV, auto e camion.
Non solo la lunghezza delle tappe, ma soprattutto le condizioni atmosferiche e i tratti velocissimi hanno messo a dura prova i partecipanti. Due piloti – il portoghese Paulo Goncalves e l’olandese Edwin Straver – hanno purtroppo perso la vita, entrambi vittime di una terribile caduta.
Alla Dakar 2020 insieme al team toscano Rteam
Ho partecipato come reporter alla mia terza Dakar al seguito di RTeam, squadra corse di Mitsubishi Italia, di Renato Rickler. Ho seguito le vicende sportive e umane dei piloti e il lavoro instancabile dei meccanici, con reportage fotografici (che potete vedere nella mia pagina Facebook) e interviste (le trovate sul mio canale YouTube).
Anche questa volta ho vissuto per 13 giorni in questa carovana instancabile che è la Dakar, dove i motori non si fermano mai e i piloti si trovano a vivere le emozioni più diverse, e sempre al massimo. Ho condiviso ansia e preoccupazioni, gioie ed entusiasmo. Tantissimi i chilometri fatti in macchina al seguito dei piloti, di tappa in tappa, pochissime le ore di sonno.
Non poche insidie lungo i 12 stage della Dakar
Da subito i piloti Rteam si sono trovati a dover fronteggiare diversi problemi meccanici, causati dalle difficili caratteristiche dei percorsi. Andrea Schiumarini e Enrico Gaspari, alla guida del Mitsubishi Pajero WRC Plus n°367, già alla prima tappa hanno subito un guasto ai fuselli anteriori; il Pajero WRC n°392 di Marco Carrara e Maurizio Dominella ha riscontrato un problema al cuscinetto della frizione, costringendo i piloti a ritirarsi per rientrare poi in gara allo stage 3, nella categoria “Experience Dakar”.
Anche Andrea Del Punta e Giacomo Tognarini – equipaggio che utilizzava l’assistenza Rteam con il proprio mezzo – sono stati costretti al ritiro per un problema al motore del loro SSV Can Am n°432.
Infine Ricky Rickler, navigato da Buran Dragos, ha affrontato non poche difficoltà che lo hanno rallentato nella guida del suo potente Iveco Eurocargo (n° 540).
Il suo contributo si è rivelato fondamentale nell’assistenza offerta non solo al proprio team, ma anche a diversi altri piloti in difficoltà (guardate come aiuta a sollevare un camion del Team Orobica Raid).
Ottima posizione per Maurizio Gerini e Jacopo Cerutti
Non potevo non seguire con passione anche le vicende degli altri piloti in gara. In particolare i primi due in classifica della categoria moto: Maurizio Gerini (arrivato al 20° posto) e Jacopo Cerutti (22° posizione), entrambi del Team Solarys. Nonostante i problemi con la mousse (come capitato anche ad altri piloti in gara) ed essere rimasti senza carburante durante la tappa Marathon, sono riusciti a mantenere alta la loro posizione in classifica. Ha dimostrato di avere testa e gas il simpatico Mirko Pavan, il quale ha corso con la sua Beta nella categoria “Original By Motul”, ovvero senza assistenza, portando a casa la 75° posizione nella classifica generale.
Il mio lavoro di reporter alla Dakar 2020
Il mio impegno è stato ovviamente rivolto a garantire il massimo della copertura mediatica per i piloti Rteam e per il resto dei piloti italiani in gara. Ho aiutato con piacere anche i meccanici, quando era necessario, per rimettere in sesto i mezzi per l’indomani. Ho visto la stanchezza e la frustrazione negli occhi di Renato Rickler, quando la sfortuna ha messo in crisi i mezzi del team, nonostante i tanti mesi di lavoro. Ho letto la commozione e la gioia fanciullesca nel sorriso di Mirko Pavan, che a ogni edizione rende sempre più orgogliosa la sua “razza Piave”.
E poi ancora ho strappato sorrisi, rubato impressioni e speranze per l’andamento di una gara che per i piloti rappresenta mesi, anni di allenamento. Ma soprattutto passione. Quando tutto sembra ridursi a un semplice lavoro, dove solo le squadre più grosse emergono e guadagnano, ecco che compaiono – tra piloti – lampi di generosità inaspettata, a riportare la gara allo spirito originale. Un passaggio dopo una perdita imprevista di carburante, il ritardo sulla propria linea di marcia per soccorrere un pilota in difficoltà. Un tratto di umanità che quasi mai si trova sotto i riflettori, spesso puntati più sulla spettacolarità della gara, e sulla pericolosità che la contraddistinguono. Certo, l’adrenalina è una componente innegabile della Dakar, ma ancor più lo è la competizione con se stessi, come mi piace ripetere. Mettere in gioco la propria resistenza e le proprie capacità in contesti al limite.
Dakar 2020 in Arabia Saudita: uno scenario senza precedenti
E’ stata anche un’occasione per scoprire meravigliosi paesaggi. Colori e forme mai immaginati prima, al di là di qualsiasi clichè. Anche se non paragonabile al calore riscontrato in Sud-America, anche quello saudita è stato un pubblico curioso e presente. Soprattutto le espressioni divertite dei bambini sono quelle che mi porterò dietro con affetto.
Un’altra Dakar è andata. Un altro conto alla rovescia è iniziato.
Ci vediamo alla prossima Dakar!
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